Namrata, Vandana e Oaref di notte si trasformano in Naomi, Osmond e Nikki, ma non è la versione bollywoodiana di Twilight. Namrata, Vandana e Oaref sono i protagonisti di “John & Jane”, bel docu-film di Ashim Ahluwalia. Questi tre ragazzi sono impiegati in un call center di Mumbay e rispondono -tutta la notte per via dei fusi orari- ai consumatori che chiamano numeri verdi dagli Stati Uniti. Come immigrati appena arrrivati in America devono cambiare nome. Tuttavia non hanno lasciato il loro paese: ogni sera sedendo davanti allo schermo diventano americani. Quando diciamo delocalizzazione solitamente pensiamo a fabbriche che chiudono in un paese per riaprire in un altro dove tutto costa meno e ci sono meno controlli. Di solito, poi, pensiamo a cose: scarpe da ginnastica, abiti, telefoni, oggetti d’arredo o pezzi di ricambio. Nel caso di “John & Jane” si tratta invece, di una delocalizzazione che riguarda i servizi. Nel film Ashim Ahluwalia descrive un altro lato della delocalizzazione economica e finanziaria: la delocalizzazione delle coscienze. “Il mestiere sta tutto nel fare in modo che il consumatore non distingua tra una comunicazione locale e una comunicazione con l’India” afferma uno dei formatori di call center della catena di supermercati Tesco a Bangalore. La globalizzazione ha aumentato la domada di questi corsi di formazione in cui operatori e quadri delle multinazionali vengono iniziati alla cultura e al modi di vivere dei paesi di origine delle loro aziende. “Attraversando i continenti al telefono, vendono prodotti e calmano i nervi dei consumatori – spiega Ahluwalia- Ogni volta che intervengono, sognano l’America. E mente sognano cambiano. (…) Cosa comporta vivere così lontano dal proprio corpo?”. Il regista indiano, attraverso la storia di questi tre ragazzi, costruisce una interessante riflessione su lavoro e identità, globalizzazione e coscienza, cultura ed economia.
Non solo scarpe: la delocalizzazione delle coscienze
27
Ago