“Vi siete accorti di quanto siete amati? Basta aprire la televisione e guardare qualcuno dei duecento short pubblicitari settimanali. Scoprirete che le cucine «vi pensano», le benzine «hanno cura» del vostro motore, i dentifrici «vi salvano», i deodoranti «non piantano in asso», c’è un sapone che «vuole abbracciarvi», uno shampoo che «vuole bene» ai vostri capelli e un gelato, spudorato che dice proprio che «vi ama».
Conosco una signora che ha dovuto vendere il frigorifero perché tutte le volte che lo apriva quello le faceva un complimento pesante. Tutti ci adorano e si danno da fare per assicurarci una vita migliore. Per la quale vale il principio della sostituzione del bisogno: tu hai voglia di aria non inquinata, ma dato che non ce n’è, devi desiderare un bagno di schiuma fresco ed ecologico“. (Stefano Benni, 1978) Benni scrive queste righe alla fine degli anni ’70, quando si stava per aprire il decennio di gloria del consumo, gli anni sfrenati dell’edonismo reganiano, gli anni d’oro della pubblicità (e delle agenzie pubblicitarie), quando consumo, consumatore, target, marketing non erano ancora considerate “parolacce”, quando No logo ancora non esisteva ancora (e ora è già da archivio!). E ora? E’ tempo di crisi e anche essere consumatori è diventato un lavoro, come spiega un interessante articolo di Le Monde Diplomatique di cui vi proponiamo alcuni estratti: ” (Il consumatore) legge le riviste dei consumatori, fa ricerche su Internet, organizza i suoi progetti, prenota i biglietti del treno; va al supermercato, riempie il carrello, fa la coda alla cassa; monta dei kit di mobili, installa il decoder televisivo, attiva la connessione a Internet; cerca il codice della guarnizione della valvola del bagno; impara a usare i programmi, legge le istruzioni per l’uso… (…). Per i volenterosi e per chi apprezza il «fai da te», questa offerta di lavoro volontario presenta allo stesso tempo il vantaggio di non essere sottomessa al rischio della disoccupazione. Perché è uno di quei casi eccezionali, assieme a quello di Robinson nella sua isola, in cui è sufficiente voler lavorare per essere assunti. (…) Anche se gli capita di assaporare la «libertà» – parola che gli sarà stata opportunamente messa in bocca – di comprare il biglietto del treno in pigiama su Internet, comodamente sistemato sul proprio letto, per il viaggio di lavoro del giorno dopo, egli probabilmente, nel profondo di se stesso, sa che non sarà in grado di usare il proprio tempo libero per risalire un fiume del Grande Nord canadese pescando con la mosca. (…) Divenuto lavoratore, il consumatore scopre la produttività. Che si vergogni se non ha l’abilità sufficiente per mostrarsi un asso della cassa automatica. Sentirà il fiato sul collo, silenzioso e nondimeno innervosito, dei clienti successivi. (…)Arrivano ugualmente piccole soddisfazioni, alla lunga, che gli permettono di scoprire le gioie del conformismo: le casse automatiche non gli fanno più paura; non dimentica più di mettersi il guanto prima di servirsi alla pompa di benzina; pilota virtuosamente i distributori automatici della compagnia ferroviaria (li domina, li comanda, anticipa le loro reazioni); sa infine aggiornare la licenza del programma antivirus. Il consumatore aumenta, certo, le sue competenze. Ma, per tirare questo bilancio complessivamente positivo, bisogna tacere il fatto che questo genere di qualificazione – innegabile tanto quanto indispensabile, perché la sua assenza potrebbe mettervi socialmente ed economicamente fuori gioco – è analogo a quello di un mazzo di chiavi che apre e chiude tutte le porte di una prigione… senza mai vedere la luce. (…)Come scriveva André Gorz, «lo spirito che è diventato capace di funzionare come una macchina si riconosce nella macchina capace di funzionare come lui – senza accorgersi che in verità la macchina non funziona come lo spirito ma solamente come lo spirito che ha appreso a funzionare come una macchina.”
Il lavoro del consumatore
12
Ago