Sotto la guida di due economisti, di cui uno premio Nobel, un gruppo di esperti “senza altro impegno se non quello di essere cittadini del mondo, ha deciso di incontrarsi per riflettere su cosa si potrebbe fare, sperando che dalla sua riflessione emergano raccomandazioni utili ai potenti del mondo”. E’ nato così lo Shadow G8 il cui documento conclusivo “The ways out the crisis and the biulding of a more cohesive world” a cura di Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi, è una lettura molto interessante.
“La crisi, iniziata nel 2007 in un piccolo segmento del mercato del credito Usa (quello dei mutui subprime), è oggi una recessione globale. Essa ha quattro caratteristiche distintive. La prima è il suo essere veramente globale, poiché è iniziata proprio al centro del sistema. La seconda è che, più di quanto non sia accaduto in altre crisi del passato, la crisi attuale è dominata da un senso diffuso di ingiustizia. La terza peculiarità è che le sue radici affondano tanto in cause strutturali quanto nella rilassatezza della cornice di regolamentazione del settore finanziario. La quarta è che è «un prodotto della dottrina». L’aver creduto nella capacità di autoregolazione dei mercati ha portato alla deregulation e a una diffusa sfiducia nell’intervento pubblico. (…). Il contagio dell’economia reale avviene principalmente attraverso l’inasprimento delle condizioni del credito per le famiglie e le imprese. Nel tentativo di ricostituire rapporti più ragionevoli, le banche o accumulano liquidità, o prestano a tassi più alti. (…) Il risultato è una diminuzione generalizzata della domanda aggregata, che spinge la maggior parte degli economisti a prevedere il prolungarsi della recessione anche nel 2010, con effetti eccezionalmente forti di disoccupazione e povertà in tutto il mondo”. Il diverso comportamento economico negli Stati Uniti e in Europa ha differenziato la crescita della crisi: “la compressione dei redditi bassi è stata compensata dalla riduzione del risparmio delle famiglie e da un crescente indebitamento”. In alte parole, non si è smesso di spendere, ma ci si è solo indebitati di più, anche se il governo americano ha cercato di attivare “politiche macroeconomiche che combattessero la disoccupazione, anche facendo aumentare il debito pubblico. Così, la crescita è stata mantenuta al prezzo di far aumentare l’indebitamento pubblico e privato.” In Europa invece “le limitazioni al deficit contenute nei parametri di Maastricht e nel Patto di stabilità e crescita, hanno prodotto una bassa reattività delle politiche fiscali e di una politica monetaria restrittiva. Questo, insieme a un settore finanziario meno propenso all’innovazione, ha limitato l’accesso al prestito per i consumatori. Questi due percorsi si sono rafforzati a vicenda perché i risparmi provenienti dalla zona Ue hanno contribuito a finanziare l’indebitamento negli Usa. (…) Così, la combinazione di squilibri strutturali che va sotto il nome di «sbilanciamento globale» si è tradotta in un fragile equilibrio” che si basava sostanzialmente sul lassismo delle politiche monetarie, che prive di regole e tese alla continua espansione, permettevano il mantenimento dell’attività eocnomica.
*un piccolo resumè dalla traduzione di Marina Impallomeni per Il Manifesto